Affrontare il discorso relativo al rapporto tra politica e verità significa, nel caso di John Rawls, intraprendere un doppio percorso: quello che risale alla giustificazione della società giusta e quello che invece si sofferma sul disaccordo permanente al suo interno, ad un livello, per dir così, politico-normativo. Si tratta, inoltre, di leggere le due fasi della riflessione ralwsiana - quella che corrisponde a Una teoria della giustizia (1971) e quella che corrisponde alla cosiddetta ‘svolta politica’ culminante in Liberalismo politico (1993) - come due momenti di un medesimo itinerario di emancipazione dalla verità. Nel caso del ‘primo’ Rawls, emanciparsi dalla verità significa adottare una posizione anti-realista: i principi non sono derivati da una qualche ordine morale precedente o indipendente dagli agenti morali ma sono ‘costruiti’, ovvero sono oggetto di una giustificazione costruttivista peraltro integrata dal metodo dell’equilibrio riflessivo, con cui si mostra l’accordo di tali principi con i giudizi ponderati. Nel ‘secondo’ Rawls, invece, emanciparsi dalla verità significa sostenere un’idea di filosofia politica il cui scopo è la ‘stabilità giusta’ e non già la società buona. Ragione di questa esclusione della verità dall’azione politica è la convinzione di Rawls che la verità comporti insuperabile conflitto, al punto da minacciare la solidità delle stesse istituzioni nonché la convivenza pacifica. Sulla base di questa premessa procederò così: 1) comincio con una riflessione sul costruttivismo rawlsiano come modello di giustificazione dei principi alla base della società giusta; segue un accenno all’accusa mossa al costruttivismo di essere funzionale alla difesa di un’idea particolaristica di giustizia se non al mantenimento dello status quo; 2) passo quindi a discutere la ‘svolta politica’ che Rawls imprime alla teoria della giustizia: ciò comporta una ‘astensione dalla verità’ al fine di trovare una convergenza delle rispettive motivazioni morali nel comune sostegno alle istituzioni liberali; 3) esamino le obiezioni rivolte alla sostituzione della verità con la ragionevolezza; 4) concludo osservando che, pur condividendo l’obiettivo politico perseguito da Rawls, quello di assicurare la stabilità (una stabilità giusta, nel rispetto cioè delle libertà), non posso fare a meno di accogliere le perplessità suscitate da una società che, nonostante gli intenti, esibisce elementi di chiusura e di esclusività.
John Rawls. Politica, non verità
SALA , ROBERTA
2013-01-01
Abstract
Affrontare il discorso relativo al rapporto tra politica e verità significa, nel caso di John Rawls, intraprendere un doppio percorso: quello che risale alla giustificazione della società giusta e quello che invece si sofferma sul disaccordo permanente al suo interno, ad un livello, per dir così, politico-normativo. Si tratta, inoltre, di leggere le due fasi della riflessione ralwsiana - quella che corrisponde a Una teoria della giustizia (1971) e quella che corrisponde alla cosiddetta ‘svolta politica’ culminante in Liberalismo politico (1993) - come due momenti di un medesimo itinerario di emancipazione dalla verità. Nel caso del ‘primo’ Rawls, emanciparsi dalla verità significa adottare una posizione anti-realista: i principi non sono derivati da una qualche ordine morale precedente o indipendente dagli agenti morali ma sono ‘costruiti’, ovvero sono oggetto di una giustificazione costruttivista peraltro integrata dal metodo dell’equilibrio riflessivo, con cui si mostra l’accordo di tali principi con i giudizi ponderati. Nel ‘secondo’ Rawls, invece, emanciparsi dalla verità significa sostenere un’idea di filosofia politica il cui scopo è la ‘stabilità giusta’ e non già la società buona. Ragione di questa esclusione della verità dall’azione politica è la convinzione di Rawls che la verità comporti insuperabile conflitto, al punto da minacciare la solidità delle stesse istituzioni nonché la convivenza pacifica. Sulla base di questa premessa procederò così: 1) comincio con una riflessione sul costruttivismo rawlsiano come modello di giustificazione dei principi alla base della società giusta; segue un accenno all’accusa mossa al costruttivismo di essere funzionale alla difesa di un’idea particolaristica di giustizia se non al mantenimento dello status quo; 2) passo quindi a discutere la ‘svolta politica’ che Rawls imprime alla teoria della giustizia: ciò comporta una ‘astensione dalla verità’ al fine di trovare una convergenza delle rispettive motivazioni morali nel comune sostegno alle istituzioni liberali; 3) esamino le obiezioni rivolte alla sostituzione della verità con la ragionevolezza; 4) concludo osservando che, pur condividendo l’obiettivo politico perseguito da Rawls, quello di assicurare la stabilità (una stabilità giusta, nel rispetto cioè delle libertà), non posso fare a meno di accogliere le perplessità suscitate da una società che, nonostante gli intenti, esibisce elementi di chiusura e di esclusività.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.