Two themes and two scenes cross each other and make up the framework of this book. The two themes are constituted by two questions. The former poses again what Deleuze and Guattari called "the midnight question", in order to recall its ultimate and definitive character. It is the classical question: what is philosophy? On the contrary, the latter asks (with a tradition that goes from Seneca to Mauss and further) what actually is a gift? Socrates, the first philosopher, and Montesquieu, the author of "The Spirit of the Laws" and of the doctrine of the separation of powers, are the protagonists of these two scenes. As a matter of fact, both the scenes tell the story of a gift. In the first scene Socrates stands in front of the citizens of Athens, that are there to judge him, and says that he is a gift of the god to the city. In the second Montesquieu pays a ransom to save an unknown merchant who is victim of the pirates, but refuses to let him know he is his benefactor. The first scene belongs to the "Apology of Socrates" and has a fascinating and less known development in the probably spurious dialogue "Second Alcibiades", in which Socrates talks about gifts and sacrifices and ends up putting the crown of sacrifice on. The second scene has been told in "Montesquieu a Marseille", written by the follower of Enlightenment and dramatist Louis-Sebastien Mercier, and in other plays of that time and probably resembles real events of the biography of Montesquieu. The gift of oneself and the anonymous gift: between this two dimension of donation the book makes its attempt to answer the midnight question about the essence of philosophy. The gift of the god, the gift of philosophy is the critic function of truth. In front of the generality of the behavior of men, the philosopher is someone that is not pleased with contingent explanations. He asks and expects more. He aspires to a gesture which is sovereign but at the same time useless, if one looks at it in the perspective of the general system of exemptions and explanations of powers and knowledge. Telling the truth is something different and something more than truth as a fact or truth as a theory that science can demonstrate. The problem of telling the truth is more wide. It is a problem certainly connected to truth but also different, that is to say the problem of meaning. Meaning is experienced and explored by the philosopher in the gesture of rupture and departure from the common use of language that consists in the sharp and harsh act of negation. The essence of philosophy is an activity which, by principle, is not constituted by philosophical propositions, but only by philosophical acts and events. This activity can be described as an act of liberation. So, as Wittgenstein noticed in one of the most beautiful passages of his work, the task of philosophy is not to teach how to build traps, but to teach the fly how to come out of them. Only two words concerning the style of the book. If philosophy is an activity of research of the meaning which presuppose the play of imagination, the text that expresses this philosophy can't be constrained into the discipline of pure argumentation, into the impersonal monologue of concept. On the contrary, it has to approach, at least in its style, to narrative dramatization. It has to use images and figures, scenes and personifications, as it was a sort of philosophical theatre.

Due temi e due scene compongono la trama di questo libro intrecciandosi fra loro. I due temi sono costituiti da due domande. La prima ripropone quella che Deleuze e Guattari chiamavano la "domanda di mezzanotte" per evocare il suo carattere ultimo e decisivo. E' l'interrogazione classica su che cos'e' la filosofia? La seconda si chiede, invece, in compagnia di una tradizione che va da Seneca a Mauss e oltre, che cos'e', in realta', un dono? Le due scene hanno per protagonisti Socrate, il primo filosofo, e Montesquieu, l'autore de "Lo spirito delle leggi" e il fautore della dottrina della divisione dei poteri. Entrambe le scene, del resto, raccontano di un dono. Nella prima Socrate, davanti ai suoi concittadini che devono giudicarlo, dichiara di essere il dono del dio alla citta'. Nella seconda, Montesquieu salva un mercante sconosciuto, caduto vittima dei pirati, pagandone il riscatto, ma rifiutando di farsi riconoscere come il benefattore. La prima scena, che appartiene alle pagine notissime del'"Apologia", ha uno sviluppo affascinante e assai meno conosciuto nel dialogo, ritenuto spurio, "Alcibiade Minore", la' dove Socrate discute di doni e di sacrifici, finendo per indossare lui stesso la corona del sacrificio. La seconda ci e' raccontata in "Montesquieu a' Marseille" dal drammaturgo illuminista Louis-Sebastien Mercier (e da altre tre commedie dell'epoca), ma pare rispecchiare un evento reale della biografia del filosofo. Il dono di se' e il dono anonimo: tra queste due dimensioni della donazione il libro sviluppa il tentativo di rispondere alla domanda di mezzanotte sull'essenza della filosofia. Al di la' delle capacita' mimetiche della filosofia di mascherarsi, oggi e nel corso del tempo, all'interno del sistema utilitaristico-disciplinare dei saperi e dei poteri, vi si sostiene la tesi che il tratto distintivo della filosofia va controvento, in direzione ostinata e contraria, rispetto alla marcia del pianeta dietro il vessillo dell'utile e del profitto e alla sua immane accelerazione nel "fondamentalismo economico" che ha retto il processo di globalizzazione degli ultimi decenni. Se l'utile, come ammoniva Schiller, "e' il grande idolo del tempo, a cui tutte le forze debbono servire e a cui tutti i talenti debbono rendere omaggio", quello filosofico e' l'atto anti-idolatrico e iconoclasta per eccellenza. La filosofia, infatti, non soltanto fa tesoro, per cosi' dire, della sua antica inutilita' rivendicata dai classici (tutte le scienze e le tecniche saranno piu' utili di essa, ma nessuna le sara' superiore diceva Aristotele), ma si protende in un gesto che rovescia quel voler avere di piu' che sembra essere, ormai, il movente principale, se non l'unico movente, che agita il mondo intero. Di fronte al globo trasformato in un immane ammasso di merci umane e non umane, tutte accomunate dal fatto di avere un prezzo, essa si offre senza prezzo, gratuitamente, semplicemente in dono. Si cercava l'essenza della filosofia, si trovera', forse, la forma sovrana di un gesto. Un gesto, quello della donazione, che interrompe il circuito dell'utile e dell'interesse, ma anche, in qualche maniera, del sapere stesso, rappresentando il modo, ogni volta diverso per stile e strumentazione concettuale, con cui la filosofia ottiene il suo scopo originario: la sospensione dell'assolutismo della realta', ovvero la divisione dei poteri che ne costituiscono la presa. Il dono del dio, il dono del filosofo, e', quindi, la funzione critica della verita'. Nel corso della vita, ogni uomo ingaggia una dura lotta con la verita'. Ne ha bisogno, ma la teme. Talvolta la cerca disperatamente e, tuttavia, molto spesso si da' da fare per metterla a tacere e poi nasconderla. Eppure, assai raramente, in questo aspro confronto, egli si chiede cosa significhi la verita' in se'. Per l'uomo, in generale, sara' piu' importante ascoltare una parola, acquisire un sapere, possedere un oggetto, conoscere i precisi dettagli di un fatto - tutte cose alle quali, di volta in volta, si da' il nome di verita' -, piuttosto che interrogarsi sulla verita' medesima. Gli uomini che dicono di volere la verita', in fondo, sono solo alla ricerca di spiegazioni, di cause e di colpe, di un sistema di esoneri e di consolazioni in grado di rendere piu' sopportabile il peso della vita all'interno di un programma di verita' che e', per essi, trasparente e inavvertito come la boccia di vetro in cui nuotano i pesci rossi. Ecco allora che di fronte alla generalita' del comportamento degli uomini, il filosofo e' quell'uomo che non si accontenta della rassegna delle spiegazioni particolari, ma chiede e pretende di piu', che aspira ad un gesto tanto inutile, nella prospettiva del sistema di esoneri e spiegazioni di cui si diceva, quanto sovrano. Il dire la verita' e', cioe', qualcosa di diverso e ulteriore rispetto alla verita' come fatto o come teoria di cui danno prova le scienze. Il dire la verita' implica una questione piu' ampia e di vasta portata, intrinsecamente connessa con la verita' ma distinta, ovvero la questione del senso. Il senso viene esperito ed esplorato dal filosofo a partire da quel gesto di rottura e di allontanamento dall'equilibrio consuetudinario degli usi del linguaggio che il profilo affilato e tagliente della negazione rappresenta al suo massimo grado. L'essenza della filosofia, allora, e' sempre un'attivita' per cui, in linea di principio, non esistono proposizioni filosofiche, ma soltanto atti ed eventi filosofici. Questa attivita' puo' essere descritta come un atto di liberazione. Allora, come notava Wittgenstein in uno dei passi piu' belli della sua opera, il compito della filosofia non e' fare o insegnare a costruire trappole, ma mostrare alla mosca come venirne fuori. Due parole sulla forma stilistica del libro. Se la filosofia e' quell'attivita' e quella ricerca del senso che presuppongono il gioco dell'immaginazione, allora il testo che la esprime non puo' essere costretto alla disciplina della pura argomentazione, al monologo impersonale del concetto, ma deve avvicinarsi, almeno per la scelta dello stile espressivo, alla drammatizzazione narrativa, accostando immagini e figure, procedendo per scene e personificazioni, come in una sorta di teatro filosofico.

Il dono del filosofo. Sul gesto originario della filosofia

TAGLIAPIETRA , ANDREA
2009-01-01

Abstract

Two themes and two scenes cross each other and make up the framework of this book. The two themes are constituted by two questions. The former poses again what Deleuze and Guattari called "the midnight question", in order to recall its ultimate and definitive character. It is the classical question: what is philosophy? On the contrary, the latter asks (with a tradition that goes from Seneca to Mauss and further) what actually is a gift? Socrates, the first philosopher, and Montesquieu, the author of "The Spirit of the Laws" and of the doctrine of the separation of powers, are the protagonists of these two scenes. As a matter of fact, both the scenes tell the story of a gift. In the first scene Socrates stands in front of the citizens of Athens, that are there to judge him, and says that he is a gift of the god to the city. In the second Montesquieu pays a ransom to save an unknown merchant who is victim of the pirates, but refuses to let him know he is his benefactor. The first scene belongs to the "Apology of Socrates" and has a fascinating and less known development in the probably spurious dialogue "Second Alcibiades", in which Socrates talks about gifts and sacrifices and ends up putting the crown of sacrifice on. The second scene has been told in "Montesquieu a Marseille", written by the follower of Enlightenment and dramatist Louis-Sebastien Mercier, and in other plays of that time and probably resembles real events of the biography of Montesquieu. The gift of oneself and the anonymous gift: between this two dimension of donation the book makes its attempt to answer the midnight question about the essence of philosophy. The gift of the god, the gift of philosophy is the critic function of truth. In front of the generality of the behavior of men, the philosopher is someone that is not pleased with contingent explanations. He asks and expects more. He aspires to a gesture which is sovereign but at the same time useless, if one looks at it in the perspective of the general system of exemptions and explanations of powers and knowledge. Telling the truth is something different and something more than truth as a fact or truth as a theory that science can demonstrate. The problem of telling the truth is more wide. It is a problem certainly connected to truth but also different, that is to say the problem of meaning. Meaning is experienced and explored by the philosopher in the gesture of rupture and departure from the common use of language that consists in the sharp and harsh act of negation. The essence of philosophy is an activity which, by principle, is not constituted by philosophical propositions, but only by philosophical acts and events. This activity can be described as an act of liberation. So, as Wittgenstein noticed in one of the most beautiful passages of his work, the task of philosophy is not to teach how to build traps, but to teach the fly how to come out of them. Only two words concerning the style of the book. If philosophy is an activity of research of the meaning which presuppose the play of imagination, the text that expresses this philosophy can't be constrained into the discipline of pure argumentation, into the impersonal monologue of concept. On the contrary, it has to approach, at least in its style, to narrative dramatization. It has to use images and figures, scenes and personifications, as it was a sort of philosophical theatre.
2009
978-88-06-20012-1
Due temi e due scene compongono la trama di questo libro intrecciandosi fra loro. I due temi sono costituiti da due domande. La prima ripropone quella che Deleuze e Guattari chiamavano la "domanda di mezzanotte" per evocare il suo carattere ultimo e decisivo. E' l'interrogazione classica su che cos'e' la filosofia? La seconda si chiede, invece, in compagnia di una tradizione che va da Seneca a Mauss e oltre, che cos'e', in realta', un dono? Le due scene hanno per protagonisti Socrate, il primo filosofo, e Montesquieu, l'autore de "Lo spirito delle leggi" e il fautore della dottrina della divisione dei poteri. Entrambe le scene, del resto, raccontano di un dono. Nella prima Socrate, davanti ai suoi concittadini che devono giudicarlo, dichiara di essere il dono del dio alla citta'. Nella seconda, Montesquieu salva un mercante sconosciuto, caduto vittima dei pirati, pagandone il riscatto, ma rifiutando di farsi riconoscere come il benefattore. La prima scena, che appartiene alle pagine notissime del'"Apologia", ha uno sviluppo affascinante e assai meno conosciuto nel dialogo, ritenuto spurio, "Alcibiade Minore", la' dove Socrate discute di doni e di sacrifici, finendo per indossare lui stesso la corona del sacrificio. La seconda ci e' raccontata in "Montesquieu a' Marseille" dal drammaturgo illuminista Louis-Sebastien Mercier (e da altre tre commedie dell'epoca), ma pare rispecchiare un evento reale della biografia del filosofo. Il dono di se' e il dono anonimo: tra queste due dimensioni della donazione il libro sviluppa il tentativo di rispondere alla domanda di mezzanotte sull'essenza della filosofia. Al di la' delle capacita' mimetiche della filosofia di mascherarsi, oggi e nel corso del tempo, all'interno del sistema utilitaristico-disciplinare dei saperi e dei poteri, vi si sostiene la tesi che il tratto distintivo della filosofia va controvento, in direzione ostinata e contraria, rispetto alla marcia del pianeta dietro il vessillo dell'utile e del profitto e alla sua immane accelerazione nel "fondamentalismo economico" che ha retto il processo di globalizzazione degli ultimi decenni. Se l'utile, come ammoniva Schiller, "e' il grande idolo del tempo, a cui tutte le forze debbono servire e a cui tutti i talenti debbono rendere omaggio", quello filosofico e' l'atto anti-idolatrico e iconoclasta per eccellenza. La filosofia, infatti, non soltanto fa tesoro, per cosi' dire, della sua antica inutilita' rivendicata dai classici (tutte le scienze e le tecniche saranno piu' utili di essa, ma nessuna le sara' superiore diceva Aristotele), ma si protende in un gesto che rovescia quel voler avere di piu' che sembra essere, ormai, il movente principale, se non l'unico movente, che agita il mondo intero. Di fronte al globo trasformato in un immane ammasso di merci umane e non umane, tutte accomunate dal fatto di avere un prezzo, essa si offre senza prezzo, gratuitamente, semplicemente in dono. Si cercava l'essenza della filosofia, si trovera', forse, la forma sovrana di un gesto. Un gesto, quello della donazione, che interrompe il circuito dell'utile e dell'interesse, ma anche, in qualche maniera, del sapere stesso, rappresentando il modo, ogni volta diverso per stile e strumentazione concettuale, con cui la filosofia ottiene il suo scopo originario: la sospensione dell'assolutismo della realta', ovvero la divisione dei poteri che ne costituiscono la presa. Il dono del dio, il dono del filosofo, e', quindi, la funzione critica della verita'. Nel corso della vita, ogni uomo ingaggia una dura lotta con la verita'. Ne ha bisogno, ma la teme. Talvolta la cerca disperatamente e, tuttavia, molto spesso si da' da fare per metterla a tacere e poi nasconderla. Eppure, assai raramente, in questo aspro confronto, egli si chiede cosa significhi la verita' in se'. Per l'uomo, in generale, sara' piu' importante ascoltare una parola, acquisire un sapere, possedere un oggetto, conoscere i precisi dettagli di un fatto - tutte cose alle quali, di volta in volta, si da' il nome di verita' -, piuttosto che interrogarsi sulla verita' medesima. Gli uomini che dicono di volere la verita', in fondo, sono solo alla ricerca di spiegazioni, di cause e di colpe, di un sistema di esoneri e di consolazioni in grado di rendere piu' sopportabile il peso della vita all'interno di un programma di verita' che e', per essi, trasparente e inavvertito come la boccia di vetro in cui nuotano i pesci rossi. Ecco allora che di fronte alla generalita' del comportamento degli uomini, il filosofo e' quell'uomo che non si accontenta della rassegna delle spiegazioni particolari, ma chiede e pretende di piu', che aspira ad un gesto tanto inutile, nella prospettiva del sistema di esoneri e spiegazioni di cui si diceva, quanto sovrano. Il dire la verita' e', cioe', qualcosa di diverso e ulteriore rispetto alla verita' come fatto o come teoria di cui danno prova le scienze. Il dire la verita' implica una questione piu' ampia e di vasta portata, intrinsecamente connessa con la verita' ma distinta, ovvero la questione del senso. Il senso viene esperito ed esplorato dal filosofo a partire da quel gesto di rottura e di allontanamento dall'equilibrio consuetudinario degli usi del linguaggio che il profilo affilato e tagliente della negazione rappresenta al suo massimo grado. L'essenza della filosofia, allora, e' sempre un'attivita' per cui, in linea di principio, non esistono proposizioni filosofiche, ma soltanto atti ed eventi filosofici. Questa attivita' puo' essere descritta come un atto di liberazione. Allora, come notava Wittgenstein in uno dei passi piu' belli della sua opera, il compito della filosofia non e' fare o insegnare a costruire trappole, ma mostrare alla mosca come venirne fuori. Due parole sulla forma stilistica del libro. Se la filosofia e' quell'attivita' e quella ricerca del senso che presuppongono il gioco dell'immaginazione, allora il testo che la esprime non puo' essere costretto alla disciplina della pura argomentazione, al monologo impersonale del concetto, ma deve avvicinarsi, almeno per la scelta dello stile espressivo, alla drammatizzazione narrativa, accostando immagini e figure, procedendo per scene e personificazioni, come in una sorta di teatro filosofico.
filosofia; dono; critica; philosophy; gift; criticism
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11768/22104
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