Il percorso che si propone in questo testo ripercorre le concezioni della libertà in Kant e in Sartre. Queste filosofie si costruiscono entrambe attorno alla salvaguardia nei confronti dell'autonomia individuale, in opposizione alla sua determinazione eteronoma, in un intreccio di reciproci richiami e distanze. Tanto in Kant quanto in Sartre, l'individualità è intesa anzitutto nel suo aspetto pratico, nel concreto della decisione; per questo, il soggetto non è più quello logico-cognitivo, bensì quello impegnato nella realizzazione del proprio progetto esistenziale. È quindi importante evidenziare differenze e similitudini che intessono una trama dove emerge un'affinità inedita, profonda e al contempo mai ammessa. Da un lato, bisogna riconoscere che Sartre “supera” Kant nella radicalità della concezione della libertà, poiché non solo è tutelata la sua possibilità ma anche viene fortemente sostenuta la sua realtà. In questa prospettiva, il soggetto s'assottiglia sempre di più, fino a espellere l'Ego dalla propria coscienza primaria, il silenzio di Dio si fa più frastornante in un cielo vuoto e il tempo, da compatta successione lineare, diviene una dimensione attraversata da continue cesure. In Sartre, soggetto e tempo vengono infatti immersi in un processo di nullificazione che solo avrebbe consentito a Kant di superare quel dualismo tra fenomeno e noumeno che coinvolge la realtà, la struttura temporale e il soggetto, tragicamente diviso tra volizioni razionali e passioni istintuali. Se tuttavia Sartre risolve alcuni dei nodi problematici dell'opera kantiana, è proprio di Kant, del suo criterio sovrastorico e della sua ricerca di universalità (anche se in una originale declinazione concreta) che Sartre avrebbe bisogno per edificare una morale autenticamente esistenzialista. L'esistenzialismo di quel Sartre che ancora non si è avvicinato al materialismo dialettico necessitante di Hegel e all'escatologia di Marx può quindi essere considerato uno sviluppo eretico di quel Kant che forse nemmeno lo stesso Sartre aveva compreso. Dopo l'elaborazione della sua ontologia fenomenologica, Sartre si rese infatti conto che il tentativo di risolvere il problema dell'Altro doveva trovare una dimensione morale. Non era più sufficiente classificare univocamente l'uomo come una passione inutile. Si doveva affrontare, al di là di ogni solipsismo e di ogni pessimismo antropologico, l'assurdità e insieme l'urgenza del compito morale. Quest'ultimo avrebbe dovuto essere in grado di riferirsi a un universale concreto e di invitare a quella conversione che sola conduce a una comprensione autentica dell'Altro e all'accoglimento della missione tutta umana di divenire custodi dell'Essere, alternativa concreta rispetto alla patologica e vana ricerca dell'uomo di diventare Dio. Oltre a sostenere un'affinità, seppure da sempre taciuta, tra questi due alfieri della libertà dell'individuo, si ritiene ancora possibile quel compito da Sartre interrotto di costituire una morale che, a partire dall'ermeneutica originale della psicanalisi esistenziale, avrebbe potuto realmente opporsi all'alienazione dell'astratto (che per Sartre, a differenza di Kant, comprende anche il dovere) e indicare modalità ontologiche esistenziali, come l'appello, nella scelta di sé e del mondo. Ciò che rimane del soggetto assoluto di Cartesio e dell'idealismo è il nucleo più essenziale, che non può abdicare alla propria libertà costitutiva in situazione, nella sua contingenza e fatticità: ossia, nella sua finitezza. Finitezza che non è da superare come un limite invalidante per l'uomo, ma che deve essere accolta come orizzonte caratterizzante l'avventura umana nei suoi possibili. Entrambi gli autori prevedono una volontà libera e morale in lotta, perennemente risituata in un conflitto; per essa non è previsto il raggiungimento di una meta sintetica e rassicurante: la moralità non si rivela nell'attesa, ma nella lotta e nel continuo tentativo di realizzazione. Il soggetto, per essere libero e morale, è diasporico, sia rispetto all'essere sia al destino rassicurante dell'ethos oggettivo, nel rischio e nell'angoscia di una vita che è tutta da farsi, nella più piena responsabilità di fronte a se stessi e agli altri. In questo senso, una lettura kantiana dell'esistenzialismo ha il vantaggio di poter collocare l'opera sartriana al sicuro dalle accuse di quietismo e di pessimismo: è la più potente filosofia che lascia l'uomo senza pretesti e attenuanti, disarmato della propria malafede. La morale è dunque il terreno dell'inquietudine; entrambi gli autori condividono una prospettiva futurocentrica, laddove il futuro non è una promessa frutto di una visione escatologica, ma il luogo dal quale si proviene, poiché è la decisione dell'individuo che lo fa. La necessità propria della morale, una necessità differente da quella del meccanicismo naturale, richiede la propria realizzazione, che sia sottoforma di imperativo (“agisci sempre”) o di un'esortazione/appello (“scegli ogni volta”), in un'adesione che deve essere ripetutamente confermata. Fino all'ultima stratificazione geologica nell'essenza, infatti, il senso dell'individuo resta aperto e sospeso; l'esito incerto è allora l'unico modo per svincolare la finitezza dalla necessità e riscattare quell'infinita libertà che abita il possibile.

Libertà in situazione. La finitezza umana in Kant e Sartre

Maria Russo
Primo
2014-01-01

Abstract

Il percorso che si propone in questo testo ripercorre le concezioni della libertà in Kant e in Sartre. Queste filosofie si costruiscono entrambe attorno alla salvaguardia nei confronti dell'autonomia individuale, in opposizione alla sua determinazione eteronoma, in un intreccio di reciproci richiami e distanze. Tanto in Kant quanto in Sartre, l'individualità è intesa anzitutto nel suo aspetto pratico, nel concreto della decisione; per questo, il soggetto non è più quello logico-cognitivo, bensì quello impegnato nella realizzazione del proprio progetto esistenziale. È quindi importante evidenziare differenze e similitudini che intessono una trama dove emerge un'affinità inedita, profonda e al contempo mai ammessa. Da un lato, bisogna riconoscere che Sartre “supera” Kant nella radicalità della concezione della libertà, poiché non solo è tutelata la sua possibilità ma anche viene fortemente sostenuta la sua realtà. In questa prospettiva, il soggetto s'assottiglia sempre di più, fino a espellere l'Ego dalla propria coscienza primaria, il silenzio di Dio si fa più frastornante in un cielo vuoto e il tempo, da compatta successione lineare, diviene una dimensione attraversata da continue cesure. In Sartre, soggetto e tempo vengono infatti immersi in un processo di nullificazione che solo avrebbe consentito a Kant di superare quel dualismo tra fenomeno e noumeno che coinvolge la realtà, la struttura temporale e il soggetto, tragicamente diviso tra volizioni razionali e passioni istintuali. Se tuttavia Sartre risolve alcuni dei nodi problematici dell'opera kantiana, è proprio di Kant, del suo criterio sovrastorico e della sua ricerca di universalità (anche se in una originale declinazione concreta) che Sartre avrebbe bisogno per edificare una morale autenticamente esistenzialista. L'esistenzialismo di quel Sartre che ancora non si è avvicinato al materialismo dialettico necessitante di Hegel e all'escatologia di Marx può quindi essere considerato uno sviluppo eretico di quel Kant che forse nemmeno lo stesso Sartre aveva compreso. Dopo l'elaborazione della sua ontologia fenomenologica, Sartre si rese infatti conto che il tentativo di risolvere il problema dell'Altro doveva trovare una dimensione morale. Non era più sufficiente classificare univocamente l'uomo come una passione inutile. Si doveva affrontare, al di là di ogni solipsismo e di ogni pessimismo antropologico, l'assurdità e insieme l'urgenza del compito morale. Quest'ultimo avrebbe dovuto essere in grado di riferirsi a un universale concreto e di invitare a quella conversione che sola conduce a una comprensione autentica dell'Altro e all'accoglimento della missione tutta umana di divenire custodi dell'Essere, alternativa concreta rispetto alla patologica e vana ricerca dell'uomo di diventare Dio. Oltre a sostenere un'affinità, seppure da sempre taciuta, tra questi due alfieri della libertà dell'individuo, si ritiene ancora possibile quel compito da Sartre interrotto di costituire una morale che, a partire dall'ermeneutica originale della psicanalisi esistenziale, avrebbe potuto realmente opporsi all'alienazione dell'astratto (che per Sartre, a differenza di Kant, comprende anche il dovere) e indicare modalità ontologiche esistenziali, come l'appello, nella scelta di sé e del mondo. Ciò che rimane del soggetto assoluto di Cartesio e dell'idealismo è il nucleo più essenziale, che non può abdicare alla propria libertà costitutiva in situazione, nella sua contingenza e fatticità: ossia, nella sua finitezza. Finitezza che non è da superare come un limite invalidante per l'uomo, ma che deve essere accolta come orizzonte caratterizzante l'avventura umana nei suoi possibili. Entrambi gli autori prevedono una volontà libera e morale in lotta, perennemente risituata in un conflitto; per essa non è previsto il raggiungimento di una meta sintetica e rassicurante: la moralità non si rivela nell'attesa, ma nella lotta e nel continuo tentativo di realizzazione. Il soggetto, per essere libero e morale, è diasporico, sia rispetto all'essere sia al destino rassicurante dell'ethos oggettivo, nel rischio e nell'angoscia di una vita che è tutta da farsi, nella più piena responsabilità di fronte a se stessi e agli altri. In questo senso, una lettura kantiana dell'esistenzialismo ha il vantaggio di poter collocare l'opera sartriana al sicuro dalle accuse di quietismo e di pessimismo: è la più potente filosofia che lascia l'uomo senza pretesti e attenuanti, disarmato della propria malafede. La morale è dunque il terreno dell'inquietudine; entrambi gli autori condividono una prospettiva futurocentrica, laddove il futuro non è una promessa frutto di una visione escatologica, ma il luogo dal quale si proviene, poiché è la decisione dell'individuo che lo fa. La necessità propria della morale, una necessità differente da quella del meccanicismo naturale, richiede la propria realizzazione, che sia sottoforma di imperativo (“agisci sempre”) o di un'esortazione/appello (“scegli ogni volta”), in un'adesione che deve essere ripetutamente confermata. Fino all'ultima stratificazione geologica nell'essenza, infatti, il senso dell'individuo resta aperto e sospeso; l'esito incerto è allora l'unico modo per svincolare la finitezza dalla necessità e riscattare quell'infinita libertà che abita il possibile.
2014
9788861599673
Sartre, Kant, libertà, responsabilità, immaginazione, Heidegger
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11768/88411
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