A partire dalla ricca aneddotica, raccolta dai biografi, sulla pratica del conversare kantiano, l’intervento si prefigge di mostrare come la conversazione, nel progredire del pensiero dell’autore della Critica della ragion pura, non occupi sempre lo stesso posto, né venga chiamata a svolgere la medesima funzione. Si tratta, cioè, in prima battuta, di cogliere gli elementi di recezione dell’arte della conversazione settecentesca nella vita e nell’opera di Kant. Eppure, in seconda battuta, sembra lecito chiedersi se, al di là della presenza del tema culturale, declinato secondo l’uso e la sensibilità dell’epoca, inserito nei rituali della vita quotidiana e, di riflesso, negli scritti del filosofo là dove questi si richiamano esplicitamente ad esso, vi sia anche un ruolo strutturale della conversazione nella filosofia stessa di Kant e, per così dire, all’interno della sua articolazione teorica. Bisogna quindi interrogarsi sul luogo che la conversazione occupa filosoficamente nel pensiero kantiano: nei dispositivi concettuali del sistema, nonché nelle sue linee di sviluppo. In questo senso si mostrerà come, dal Kant precritico delle Bemerkungen (1764-1768) e, in seguito, delle Lezioni di etica (1775-1781), fino al Kant senile dell’Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798), lo spazio disciplinare della conversazione si sposti dall’ambito etico e delle “virtù sociali” e dei doveri nei confronti degli altri, a quello antropologico e, anzi, vada a istituire una sorta di autentico nucleo generativo della disciplina antropologica così come viene ripensata, in conclusione del secolo dei Lumi, dal maestro di Königsberg. La scoperta dello spazio antropologico come spazio linguistico consente a Kant di collocare in un nuovo contesto teorico la sue osservazioni sulla conversazione. Anzi, la conversazione di quella particolare “comunità” che è la Tischgesellschaft diviene il luogo privilegiato dell’antropologia, ovvero la scena in cui può manifestarsi quella conoscenza del mondo che è, al contempo, un sapere, ma anche un modo di essere, un conoscere, ma anche un concreto aver pratica. Parallelamente e sullo sfondo del sistema, assistiamo allo spostamento strategico dall’“Io penso” della pura formalità critica all’“Io parlo” dell’antropologia, dalla prospettiva solipsistica e malinconica della riflessione metafisica, fissata sulla sospensione trascendentale, all’apertura di un pensare ancora che si dà nella dimensione estetica e conviviale dell’animo, ravvivato dai bagliori dello spirito, e, di riflesso, in quella “dietetica” del corpo, da far durare e da preservare in salute attraverso un esercizio metodico della socialità.

Tra corpo e spirito. Kant e l'abbozzo di un'antropologia della conversazione

TAGLIAPIETRA , ANDREA
2012-01-01

Abstract

A partire dalla ricca aneddotica, raccolta dai biografi, sulla pratica del conversare kantiano, l’intervento si prefigge di mostrare come la conversazione, nel progredire del pensiero dell’autore della Critica della ragion pura, non occupi sempre lo stesso posto, né venga chiamata a svolgere la medesima funzione. Si tratta, cioè, in prima battuta, di cogliere gli elementi di recezione dell’arte della conversazione settecentesca nella vita e nell’opera di Kant. Eppure, in seconda battuta, sembra lecito chiedersi se, al di là della presenza del tema culturale, declinato secondo l’uso e la sensibilità dell’epoca, inserito nei rituali della vita quotidiana e, di riflesso, negli scritti del filosofo là dove questi si richiamano esplicitamente ad esso, vi sia anche un ruolo strutturale della conversazione nella filosofia stessa di Kant e, per così dire, all’interno della sua articolazione teorica. Bisogna quindi interrogarsi sul luogo che la conversazione occupa filosoficamente nel pensiero kantiano: nei dispositivi concettuali del sistema, nonché nelle sue linee di sviluppo. In questo senso si mostrerà come, dal Kant precritico delle Bemerkungen (1764-1768) e, in seguito, delle Lezioni di etica (1775-1781), fino al Kant senile dell’Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798), lo spazio disciplinare della conversazione si sposti dall’ambito etico e delle “virtù sociali” e dei doveri nei confronti degli altri, a quello antropologico e, anzi, vada a istituire una sorta di autentico nucleo generativo della disciplina antropologica così come viene ripensata, in conclusione del secolo dei Lumi, dal maestro di Königsberg. La scoperta dello spazio antropologico come spazio linguistico consente a Kant di collocare in un nuovo contesto teorico la sue osservazioni sulla conversazione. Anzi, la conversazione di quella particolare “comunità” che è la Tischgesellschaft diviene il luogo privilegiato dell’antropologia, ovvero la scena in cui può manifestarsi quella conoscenza del mondo che è, al contempo, un sapere, ma anche un modo di essere, un conoscere, ma anche un concreto aver pratica. Parallelamente e sullo sfondo del sistema, assistiamo allo spostamento strategico dall’“Io penso” della pura formalità critica all’“Io parlo” dell’antropologia, dalla prospettiva solipsistica e malinconica della riflessione metafisica, fissata sulla sospensione trascendentale, all’apertura di un pensare ancora che si dà nella dimensione estetica e conviviale dell’animo, ravvivato dai bagliori dello spirito, e, di riflesso, in quella “dietetica” del corpo, da far durare e da preservare in salute attraverso un esercizio metodico della socialità.
2012
Kant; antropologia; conversazione; anthropology; conversation
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11768/1051
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